Roberto è un fotografo lancianese, da tempo impegnato nel sociale; di lui ho sempre apprezzato la calma che riesce a trasmettere con le parole, la dolcezza che infonde con gli occhi e non da meno quella umanità che si materializza con il suo approccio fisico. Un esempio per molti, poiché se da un lato le sue immagini ti rassicurano, dall’altro ti pongono davanti all’altro lato della medaglia: la tortuosa strada della vita.
Con “Dove fuggono gli occhi”, Roberto vuole dare voce agli invisibili – gli inconsapevoli protagonisti dei matrimoni, gli invitati, i curiosi, i passanti, quelli che restano alla fine, quelli a cui non fai caso ma esistono. –
Il titolo e tutto il resto hanno destato molta curiosità, così lo abbiamo intervistalo insieme ad Ivo Saglietti, fotoreporter già World Press Photo nel ’92, che ha collaborato al progetto editoriale, impreziosendolo di un suo contributo.
D. Roberto, innanzi tutto grazie per esserti reso disponibile a questa intervista, partiamo subito con la prima domanda: Questo lavoro come si evince dalla presentazione è un flashback della tua attività professionale, dove le fotografie “scartate” sono la testimonianza di un tempo, ma anche la realtà che si palesa a pochi?
R. Ho maturato nel tempo quanto la fotografia rispecchiasse uno stato d’animo più che uno “stato” e basta. Negli anni ’90, quando la vita era più “a portata di mano” e meno di telefono, ho capito che non m’interessava realizzare una bella fotografia, un’esecuzione esteticamente accattivante, un virtuosismo artistico che mostrasse la bellezza di un bacio o di un momento, quanto piuttosto quello che cercavo era tutto quello che “muoveva” quel momento. Mi spiego meglio; una storia non ha mai, almeno per me, un’unica voce, ma è sempre l’esito di una pluralità di cose, circostanze, situazioni, improvvisazioni. Non mi sono mai concentrato unicamente sulla coppia ma i miei occhi sono sempre evasi ovunque trovassero vita, emozioni, avventura, gesti, manifestazioni di presenza seppur, lasciami dire, “presenza invisibile”.
Dici bene, “fotografie scartate”, le reiette, quelle che non troverebbero mai posto su un album fotografico eppure sono proprio quelle che poi, a distanza di anni, aggiungono descrizione e narrazione alla storia, sono quelle che, assieme chiaramente al “racconto principale”, parlano dell’avvenimento, riferiscono di quel giorno con ogni dettaglio. Ciascun fotografo ha il diritto e forse anche il dovere di tradurre quello che lo circonda in qualcosa che abbia una consistenza, una forma, qualsiasi essa sia; nel mio caso cerco la solidità nella fotografia.
D. Dici che gli “invisibili” sono gli inconsapevoli protagonisti […], ma tu in questi individui cosa vedi e ricerchi?
R. Io indago la verità ma non so mai in anticipo in cosa essa consista. Per questo motivo ti direi che quello che cerco raramente diventa quello che vedo e viceversa. Il bello della verità è che non è mai “confortante”, anche qui passami il termine, nel senso che la verità non è mai uguale a se stessa e non è mai replicabile ma è sempre un carburante di stupore. Gli invisibili non sono altro che i “passeggeri”, i pendolari del quotidiano, quelli che fanno parte della nostra vita inconsapevolmente, quelli che generano e muovono le cose senza che neppure ce ne accorgiamo. A volte siamo noi stessi i viandanti nella vita degli altri o gli altri nella nostra, il bello è che nessuno è un vero protagonista, ma tutti siamo compartecipi e “conviventi”.
La memoria è tale solo se condivisa e quello che più amo del mio lavoro è proprio questo, ovvero il fatto che una buona fotografia ha il potere di avvolgere e travolgere democraticamente la vita e le persone.
D. Augurandoti il meglio per questo lavoro, dove la buona fotografia vince: con i suoi ricordi, le sue emozioni e le sue storie; quali saranno i prossimi impegni visto che – “La tua macchina fotografica ha il dovere di raccontare sempre qualcosa”? –
R. I miei “impegni” fotografici mi portano quotidianamente a scavare storie sommerse ma fisicamente ad oggi non so dirti in quale luogo queste “stiano esitando”. Mi sposto per curiosità, per portare alla luce l’ombra. Proseguo con i miei due progetti “sociali” l’Acchiappasogni e l’Africa con l’Associazione Etiopia Onlus e spero un giorno di poter, anche in questo caso, farne due libri perché credo nel potere della carta, del tocco, della sostanza delle cose.
A proposito della “sostanza delle cose” ringrazio la sostanza delle persone che hanno creduto in questo mio progetto e che si sono spese e dedicate per permettermi di realizzarlo al meglio. Il mio ringraziamento va dunque ad Ivo, un caro amico, un vero professionista, un immenso autore ma anche un uomo di estrema umanità che ha messo a disposizione la sua sensibilità e la sua esperienza con grande generosità e amicizia. E infine, ma non per importanza, ringrazio il Fiof grazie al quale ho potuto nutrire con continui scambi e incontri la mia fotografia che è cresciuta così in un ambiente stimolante, ricco e sempre in “R- Evolution”.
Passiamo ora la parola al fotografo Ivo Saglietti, che dal canto suo si è sempre occupato di progetti di documentazione approfonditi e articolati, affatto condizionati dalle esigenze e dalle richieste di quotidiani, settimanali e mensili.
D. Ivo, una domanda che lascia poco spazio all’immaginazione: tu hai conosciuto Roberto persona e Roberto fotografo; dove fuggono i suoi occhi?
R. No, gli occhi di Roberto non fuggono, sono aperti sul mondo e sulla sua sofferenza, sono aperti e coscienti che non tutto è gioia e che al di là del bianco esiste anche il nero e che oltre la speranza c’è la sofferenza di molti. Ce lo mostra nelle sue fotografie di matrimonio andando alla ricerca di mani corrose dalla vita e dalla stanchezza, di gambe che non possono più muoversi e di occhi che stanno per chiudersi. Cogliere l’umanità e il destino in un attimo non è da tutti.
No, gli occhi di Roberto non fuggono, stanno lì a Lanciano con i bambini di Acchiappasogni, lì i suoi occhi si riempiono di tenerezza e di amicizia come le sue fotografie e i suoi gesti.
No, gli occhi di Roberto non fuggono, viaggiano lontani, in Africa non per turismo ma per portare speranza, a chi speranze ne ha poche.
D. Nel libro, come del resto affermi, non si è cercato di stupire, ma di raccontare la solidarietà verso le persone meno fortunate; forse è proprio questa la forza del progetto?
R. Si, è in questo grande gesto, questo senso universale di solidarietà, che Roberto si esprime con le sue immagini, senza eccessi, malinconie o presunzioni ci racconta un presente altro ma potente e quotidiano, di una quotidianità che spesso dimentichiamo o nascondiamo.
D. In ultima battuta, oltre a ringraziarti per la gentilezza ed il tempo dedicatomi, potresti raccontare un particolare aneddoto vissuto con l’autore e che possa rivelarci la sua anima?
R. Ha a che vedere con la sua generosità, Roberto deve essersi convinto che io mi nutra poco e allora durante le nostre cene, silenziosamente si siede al mio fianco e continua a riempirmi il piatto, di per se è un gesto simpatico… ma io non ho bisogno di ingrassare troppo. Ma lo ringrazio per queste sue sollecitudini.
Ciao Roberto stammi bene e fai il bravo.