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Ancora pochissimi giorni per vedere le fotografie di Paolo Pellegrin al Maxxi di Roma.
Dopo un lavoro di due anni sull’archivio del fotografo con circa 150 immagini, si ripercorrono venti anni di vita del fotoreporter (1998-2017). È visibile tutto il percorso creativo e i temi cari al fotografo che ha viaggiato in tutto il mondo con la sua macchina fotografica, raccontando storie di guerre, di emergenze, ma soprattutto di uomini.
“Un metodo di lavoro che rimanda all’idea di un giornalismo lento, guidato dall’urgenza intellettiva dell’approfondimento piuttosto che dal desiderio di carpire un’immagine iconica”
Germano Celant – curatore
L’intera mostra, restituisce la bellezza della complessità rispetto alle tante semplificazioni che molto frequentemente si vedono esposte.
Questo a causa dei budget a disposizione, dei tempi di editing, e molto altro ancora…
E’ un documentario muto che centralizza l’importanza dello studio e della ricerca, di un giornalismo di approfondimento, così come riportato nella precedente frase che campeggia all’ingresso della prima sala.
Affascinate il buio iniziale (foto allegata), il nero domina… viene raccontata un’umanità che soffre: una grande parete dedicata alla battaglia di Mosul del 2016 – scelta da Pellegrin per rappresentare la metafora del conflitto.
La seconda parte è invece caratterizzata da uno spazio luminoso in cui trovano posto immagini di una natura maestosa e potente, che sembra vogliono ricordare la fragilità dell’uomo al suo cospetto.
Poi troviamo serie di immagini, scattate negli Stati Uniti, che parlano di violenza, povertà e crimine. Ancora uomini, donne, bambini, soldati, profughi, rifugiati e migranti. In una sola parola tutti i drammi di questo nostro tempo tormentato e difficile.
I due percorsi sono collegati da un “non luogo” che materialmente riesce a calare il visitatore nella ricerca visiva di Pellegrin: disegni, taccuini, appunti, fotografie, locandine, ecc.
Tutto ciò oltre a testimoniare il processo creativo del fotografo, evidenzia l’infinita ricerca, nonché la sua conoscenza e preparazione.
“Il reportage di Pellegrin è una manifestazione dell’interpretazione personale, che si alimenta di estetica e di espressività, di angoscia e di sofferenza. È la sintesi di una posizione critica del fotografo rispetto alla visione impersonale della realtà: un racconto, scandito per momenti e per capitoli, che aiuta a mettere in contesto la situazione affrontata e chi la documenta”
Germano Celant – curatore
// Articolo e foto di Diego Pizi