Uno sguardo unico. Solo, ma non isolato. Danilo Balducci, per nostra fortuna, per la fortuna di tutti, ha preso posizione.
Ha deciso di far parte della vicenda fotografata. Non raccontata. Fotografata. Il compito del fotografo non è raccontare, è fotografare. Non è una banalità ! Sta a noi raccontare, a noi stessi, attraverso la percezione della realtà trasmessa. La quale è anche la realtà interiore del fotografo, della sua intima conoscenza. Lo sguardo unico, ma non isolato di Danilo Balducci è tale perché questi si è letteralmente immerso nella storia.
Nel fluire della migrazione degli uomini. Una cascata di sofferenze e sentimenti che il “nostro” è riuscito a fermare per un minuscolo istante, che durerà per sempre, senza cadere nel pietismo di maniera. Oggi così in voga e ricercato al fine di acquisire il consenso. E l’immersione di Balducci è totale, sempre in apnea fotografica, sempre al livello degli uomini ripresi. Identità di livello significa ed esprime compassione, mai pietà, che, invece, postula posizioni diverse. Alta e Bassa. Chi dà e chi riceve.
La compassione significa soffrire insieme, legati, e far soffrire tutti noi, legati ulteriormente dal filo di acciaio delle sue fotografie. Un filo sul quale dobbiamo muoverci con grande equilibrio per non cadere e perdere conoscenza. La conoscenza della vicenda umana dei migranti. I quali, nelle fotografie di Danilo Balducci, non dimenticano mai la propria dignità di appartenenza, che esplode letteralmente all’interno delle nostre povere etichette.
Rappresentate nelle immagini, forti, reali e surreali insieme, del fotografo-migrante da anelli architetturali, quadri e cornici strutturali, natura, intemperie. Una sola fotografia, una e una soltanto intendo porre alla vostra attenzione. L’immagine in cui l’uomo lancia il bambino in alto. E anche qui Danilo si è immerso nella storia e si è posto allo stesso livello dei soggetti fotografati. Due umanità, staccate da una distanza verticale, si sovrappongono alla linea centrale della fotografia. Ma anche il fotografo-migrante, con il suo occhio, occupa l’intera linea verticale. Sembra che lui stesso si sia sovrapposto a quella linea verticale. Verticale e alto lui stesso. Come se avesse utilizzato una macchina fotografica stretta e lunga, mai dispiegata in orizzontale. E tutto ciò nonostante il taglio piano e disteso della inquadratura. Come abbia fatto, come sia riuscito nell’impresa non si sa. Ed è bene che non si sappia. Almeno per il momento.
Buona immersione,
Rinaldo ALVISI
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