Promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo, al Palazzo delle Esposizioni di Roma da ottobre andrà in scena la più importante retrospettiva mai realizzata finora, dedicata al fotografo britannico di fama internazionale Don McCullin.
La prima che raccoglie in maniera esaustiva le diverse fasi del suo lavoro, sino alle fotografie più recenti nelle quali, in una sorprendente visione d’insieme, l’autore sintetizza le sue esperienze più radicali. La mostra, che si protrarrà fino al 28 gennaio 2024, è curata da Simon Baker, in stretta collaborazione con Don McCullin e Tim Jefferies.
In mostra ci sono alcune delle immagini di povertà, carestia e guerra più iconiche e riconoscibili di tutta la storia della fotografia.
Il percorso, caratterizzato da oltre 250 scatti, si sviluppa attraverso sei diverse sezioni: Esordi, Guerra e Conflitti, Immagini documentarie del Regno Unito, Immagini documentarie all’estero, Paesaggi e Nature morte, L’Impero romano. Dagli esordi che inseguono una Londra di fine anni Cinquanta e dei primi Sessanta, McCullin approda nel cuore dei conflitti più violenti e catastrofici della fine del ventesimo secolo.
Le sue prime vere esperienze di reporter furono a Cipro, in Congo e in Vietnam, dove ha ripreso l’orribile dramma della guerra su entrambi i fronti, attraverso immagini di traumi e di morte esenti da qualsiasi censura.
Dall’orrore della guerra civile in Libano ai disordini nell’Irlanda del nord, dalla repressione dei curdi in Iraq agli inizi dei primi anni Novanta alla seconda guerra irachena nel 2003, e, più recentemente, quella in Siria, McCullin aveva un imperativo morale: raccontare i conflitti senza finzione o ipocrisia.
Non mancano le immagini documentarie del Regno Unito, come l’incredibile povertà di alcune parti della Gran Bretagna del dopoguerra, con i senzatetto ai margini della società, che grazie al suo approccio originale e all’umanità, riesce a restituire loro un’identità.
Il suo occhio ritrae la disabilità dei singoli, rispettandone la dignità, come accade anche per i membri della tribù dei Karo e dei Surma in Etiopia meridionale, ma anche per le remote regioni selvagge dell’Egitto e del Sudan.
C’è poi il paesaggio; McCullin ammetteva di voler tagliare i ponti con la fotografia di guerra per trovarsi un rifugio in campagna dove poter fotografare la sua Inghilterra per il resto della vita. Da qui le immagini dei campi allagati e sferzati dal vento, sui quali incombe un cielo cupo, che aggiunge drammaticità e pathos.
L’Impero romano, considerato da McCullin il suo ultimo grande progetto, è invece una sorta di indagine fotografica culturale, architettonica e storica sui resti dell’Impero romano nell’area del Mediterraneo meridionale. Dal Marocco, all’Algeria nel sud-ovest, fino alla Siria e al Libano nel nord-est. L’interesse per il patrimonio dell’antica Roma lo ha portato anche a cercare di accedere ad alcune delle maggiori collezioni di scultura romana presenti in Italia e negli Stati Uniti, il tutto per il solo fine di restituire al pubblico di tutto il mondo le immagini di alcuni dei reperti storici più belli e significativi.
dp