Due scatole di scarpe piene di negativi fotografici, dimenticate in un vecchio armadio per più di cinquant’anni, diventano un docu-film del viaggio in Vietnam di Cecilia Mangini che racconta l’esperienza vietnamita e non solo, attraverso le immagini scattate e la sua voce.
“Cosa posso certificare di me stessa: che sono nata il 31 luglio 1927 e ancora campo”. –
Prima documentarista italiana, tra le migliori di sempre, nata a Mola di Bari fine anni ‘20, Cecilia Mangini ci ha lasciati lo scorso 21 gennaio. Prima però ha trovato il tempo di regalarci ancora un suo contributo: “Due scatole dimenticate. Un viaggio in Vietnam”, presentato ai festival di Rotterdam, Pechino e Torino, la Rai lo ha programmato come speciale TG1 alla vigilia della Festa della Donna, lo scorso 7 marzo, come tributo ad una grande personalità della nostra cultura. Scritto da Cecilia Mangini e Paolo Pisanelli è stato prodotto da OfficinaVisioni in collaborazione con Rai Cinema.
Tra il 1964 ed il 1965 la regista C. Mangini trascorre alcuni mesi con suo marito Lino Del Fra nel Vietnam del Nord che era in guerra con gli Stati Uniti, al fine di effettuare sopralluoghi per un film. Il film non venne mai realizzato, ma il grande reportage fotografico, per una parte ancora inedito, realizzato da Cecilia con le sue due macchine fotografiche (Rollei e Zeiss Ikonta) è diventato la base da cui partire per quello che molti definiscono – l’ultimo suo graffio – poiché le sue immagini non riguardavano solo la guerra, ma anche il popolo, le fabbriche, le miniere, i bambini e le donne.
“Sono le fotografie che mi ricordano le cose, perché io sto perdendo la memoria. Alle volte mi mancano le parole, alle volte mi mancano le date, i nomi delle persone. Non si può ricordare tutto… non si può dimenticare tutto, insomma… mi barcameno. […] Dicono che le parole incrociate crittografate siano un bellissimo esercizio per la mente contro il rincoglionimento”. –
Nel film la protagonista si aggira per la casa tra libri, riviste, taccuini, fogli di appunti manoscritti e fotografie ritrovate, mentre riflette sul passato; a ciò vengono accompagnate voci che parlano francese, poiché fu la lingua in cui venne realizzata, da Cecilia e suo marito Lino, la prima scrittura del documentario per l’approvazione da Hanoi.
I suoi ricordi ed i suoi pensieri ad alta voce, frase dopo frase, evidenziano una lunga vita spesa bene e le parole con cui chiude il film, ritraggono la sensibilità più intima di una donna che non ha mai avuto né paura né timore di essere se stessa.
“Pensavamo che si potesse tornare. Volevamo tornare. Era una bella sfida raccontare la vita di un paese in guerra, poi tutto è precipitato. Non siamo più tornati in Vietnam e il film non si è più fatto. È stato un grande dolore, è stata una perdita. Però il Vietnam ha vinto la guerra”. –
// Guarda lo speciale TG1 dedicato a Cecilia Mangini
// Articolo di Diego Pizi