NIKO GIOVANNI CONIGLIO
Le immagini che mi sottopone Niko Giovanni Coniglio sono di sua Madre. Se dovessi scrivere del rapporto di Niko Giovanni con la Madre, seppur filtrato da fotografie, rischierei di essere banale. Sarei senza dubbio banale. Senza sapere, senza conoscere Madre e Figlio, potrei cadere in un errore interpretativo, nel luogo comune del rapporto Edipico. O nel luogo comune delle difficoltà di comunicazione, superate grazie allo strumento fotografico. Niko Giovanni Coniglio avrà certamente stabilito un contatto o un ulteriore contatto con la Madre, parlandole e ascoltandola attraverso la fotocamera. Ma sarebbe banale scrivere di ciò, esplorando il tema, in quanto altro non è, quel contatto, se non una diversa modalità di comunicazione tra Genitore e Figlio. Ognuno ha la propria. Ognuna differente dalla altre. Ognuna con caratteristiche uniche. Mi interessano, invece, le fotografie. Mi interessa conoscere la realtà percepita dal fotografo e non il perché. Mi interessa conoscere io stesso quella realtà come se fosse la mia. Io no so quanto la duplicazione del soggetto, perché Madre e Figlio sembrano gemelli, forse lo sono, definisca la personalità di entrambi. Ma è come se fossimo di fronte a un’anima che inizia una sorta di processo di ripetizione di se stessa. Una clonazione. All’infinito. Come se fossimo al cospetto della volontà di non concludere mai il proprio viaggio. Una parentesi che non deve chiudersi. L’impresa non è semplice. E allora ci vuole forza. Determinazione. Una determinazione lucida e folle insieme. Guardatela tutti. Apprezziamola tutti quella determinazione negli occhi della Madre di Niko Giovanni. Quasi a voler sconfiggere il tempo. Un tempo che è necessario affrontare con tutte le forze a disposizione, ma anche con ciò che la realtà di tutti i giorni ci offre. Dunque, facendo la spesa al supermercato; fumando nell’attesa, nelle attese; riposandoci, sorseggiando una tazza di tè; andando anche a teatro, elegantemente vestite da signora, ma con lo sguardo di chi vuole incutere timore ai paparazzi dell’al di là; ritemprandoci al freddo del frigorifero che ci ripara dall’ossessiva calura ; facendo l’amore, di giorno e di notte, tra le foglie e con le foglie fiorite; dormendo; e infine, trattenuti dalla Madre terra, che vuole chiudere quella maledetta parentesi, tentando l’ultimo gesto di corruzione; due soldi che non sappiamo se saranno accettati. E’ vero, la fotografia “del soldo” rievoca chiaramente i rituali onori funebri dell’antichità, ma la forza spirituale di Niko Giovanni ha preteso di frapporre tra Caronte e la Madre uno scudo. Nero. Quasi invisibile. Eppure vivo. Reso vivo dal movimento della maglia strutturale del velo. Il velo, attraversato da mille pieghe, mille onde, ad agitare un mare che “Psicopompo” avrà grandi difficoltà a navigare.
Noi, però, non conosceremo mai i titoli di coda, perché Niko Giovanni non ha inteso rivelare il finale. Le fotografie del “nostro”, pur straordinariamente potenti, godono di una asciuttezza fuori del comune. Siamo a confronto con la vera creazione, quella che si concentra esclusivamente sul parto, sul proprio frutto e non su tutto ciò che è inutilmente contorno e non sul pubblico da accontentare. Anche di Niko Giovanni Coniglio intendo scrivere e scrivo la verità, affermando che indiscutibilmente non gli appartiene alcun pietismo di maniera. Arma quest’ultima alla quale oggi si ricorre molto spesso al fine di acquisire consenso. Il consenso di persone adoranti che attraverso il consenso prestato tentano esse stesse di acquisire consenso. Un boomerang della ipocrisia !! E attenzione, prestate molta attenzione, perché per Niko Giovanni sarebbe stato più facile di chiunque altro cadere nel gioco meschino, in quanto è fotografo di sua Madre. E invece è rimasto solido e tetragono, invincibile alle lusinghe del facile successo. Ora, di fronte a una Madre multiforme, che si ripete, che riflette anche la ripetizione della vita del Figlio, quasi una formula algebrica a voler fuggire Caronte, chiediamoci tutti che fine faremo . Il corpo muore. Ma muore anche il pensiero? Il pensiero. Come può morire il pensiero?! Ed è ciò che vedo in queste fotografie. Un pensiero sopravvissuto. E’ come se la Madre del “fotografo” si sia materializzata in un pensiero immortale. Un pensiero solido e vivente per sempre. Un ossimoro vivente (il valore dell’ossimoro ha detto una volta Francesco Lodato, scrittore in quel di Roma, a farmi riflettere). Il pensiero non muore mai. E grazie a questa alchimia si supera il terrore di ritrovarsi vecchi in forza della vecchiaia del genitore. Non ti accorgi mai di invecchiare. La percezione diretta e immediata della tua caducità l’avrai solo nel momento esatto nel quale coglierai la caducità del Genitore. La Madre di Niko Giovanni, poi, si inserisce in un “testo” della iconografia classica. La quale, per i pittori dell’età dell’oro, primo tra tutti Rembrandt, presupponeva la conoscenza delle tematiche poste a base del dipinto e delle “popolazioni” rappresentate. E anche la Madre di Niko Giovanni rappresenta, nel nostro caso, una intera popolazione. Di madri. Osservata, studiata e metabolizzata. Dunque, conosciuta. Proprio come il Rembrandt della Storia dell’Arte Europea. E vi è una coincidenza. Osservate come i quadri del grande Maestro, laddove ricorra identità di soggetti (ma non solo), assomiglino alle fotografie del Nostro pittore. Incredibile. Stessa luce. Stessi colori. Luce che diventa essa stessa materia, giacché pervade interamente il soggetto. Non lo avvolge. Lo penetra. E diventa pelle. E diventa del colore della persona colpita. Non è più la luce a illuminare la persona, ma è la persona che illumina la luce. I colori. Quasi un monocolore. A ricordare che la vita, nonostante i tentativi di ripetizione dei quali ho detto, è pur sempre UNA. Un colore caldo, senza essere bollente e soffocante, che si espande per tutta la scena. Una svolta estetica decisamente appropriata, che lascia emergere le linee dure del volto, a tratti del corpo, per gran parte spigoloso. Una vera e propria eversione. Le linee del corpo, anche quando è vestito, non sono mai nascoste, perché è come se proseguissero, senza fermarsi, con le linee dell’indumento. Nell’immagine in cui la “Donna” veste la pelliccia, la luce è dura senza essere spigolosa. Non fa male. Ferisce senza provocare dolore. Ed è impressionante perdersi in quel labirinto di geometrie che si muovono dal viso, dai capelli, per poi perdersi nei meandri dell’animale indossato. Come se si trattasse di una trasmutazione. Due animali che diventano uno soltanto. Un unico percorso inciso. Come le incisioni del Maestro olandese. Altra caratteristica che accomuna i due. La carta fotografica di Niko Giovanni Coniglio NON è impressa è incisa. Scavata. Ad accogliere il monocolore e la luce penetrante. Le sue fotografie, infine, godono di una perfezione stilistica straordinaria, in quanto non indulgono mai al bello, pur essendo BELLISSIME. Non è un bello ricercato. E’ un bello trasmesso. Una realtà NON bella, la vecchiaia, la vecchiaia della Madre, che, attraverso un inconscio canale fotografico, diventa bella agli occhi di chi guarda. Non riesco a spiegarlo diversamente. E’ il mio limite, forse, accentuato dalla grandezza delle immagini che osservo.