Simone Arrigoni, romano, classe 1973, pianista diplomato al conservatorio di S. Cecilia, pluriprimatista mondiale di apnea, con i suoi 21 record, e fotografo, è riuscito sempre a esprimere in tutti i suoi impegni professionali se stesso e la sua profonda ammirazione per la natura.
L’attività di pianista prima, poi la ricerca di record sempre più spinti, e il raccontare e il raccontarsi con le immagini hanno rappresentato per Arrigoni sempre delle nuove possibilità che la vita gli ha imposto di cercare.
Ciao Simone, inizio con il chiederti qual è stato il filo conduttore fra le tue tre passioni: il pianoforte, l’apnea e in ultimo la fotografia.
Il filo conduttore è sicuramente cercare di trasmettere attraverso queste attività, che si sono susseguite ed intrecciate nel tempo, emozioni e messaggi che mi stanno particolarmente a cuore.
La musica è un linguaggio universale, e in gioventù il pianoforte è stato il mio unico vero e proprio mezzo di comunicazione. Costretto ad abbandonare il concertismo classico a causa di un incidente stradale che mi danneggiò irrimediabilmente la mano e il polso, iniziai a dedicarmi allo sport, inizialmente per realizzare il sogno di un mio cugino adolescente che avevo appena perso. La sera prima mi aveva confidato il suo desiderio di stabilire un record mondiale di apnea, così nell’ultimo saluto gli promisi che lo avrei realizzato per lui. Nell’apnea agonistica ho quindi trovato un mezzo d’espressione alternativo, un modo per comunicare determinati messaggi, primi fra tutti l’importanza della sicurezza in mare (riassunta nel motto “mai da soli”) e del rispetto della natura. Inoltre ho potuto dare un senso all’estenuante fatica che sottende agli allenamenti dedicandomi a trasmettere le preziose conoscenze legate a questa disciplina sia tramite i corsi ai ragazzi disabili, sia offrendomi volontario per ricerche scientifiche universitarie in ambito biomedico.
Nel frattempo non ho mai smesso di dedicarmi alla ricerca di altri modi per esprimermi e mettermi alla prova, trovando nella fotografia un mezzo d’elezione. Due anni fa sono stato messo di nuovo all’angolo dal destino per una gravissima malattia che mi ha condotto a lungo in fin di vita. Costretto ad allontanarmi prima dalla musica e ora anche dall’acqua, la fotografia è diventata lo strumento principe per comunicare tramite progetti strutturati. Grazie a questo altro linguaggio universale, ho tentato di svelare ai più alcuni aspetti meno noti della natura con tre progetti: “STARt. Look beyond”, “InvEarth” e “Resonance”. Quest’ultimo in particolare racchiude in sé le mie tre grandi passioni (musica, apnea e fotografia), giocando con le nostre percezioni sensoriali della vista e dell’udito. Con una tecnica chiamata Cimatica, infatti, è possibile visualizzare gli schemi tracciati dalle onde acustiche che si propagano sulla superficie dell’acqua. Resonance sfrutta questa tecnica per mostrare in immagine il percorso compiuto da determinati suoni, come a voler disegnare la straordinaria sinfonia della realtà.
L’intento di ogni progetto fotografico è di svelare quanto lo spettacolo della natura possa continuare a stupirci, mostrando il lato artistico di specifici aspetti studiati da diverse branche scientifiche, che spesso passano inosservati e restano nascosti al grande pubblico. Apprezzo profondamente la possibilità di far dialogare scienza e fotografia, lasciando che nei miei scatti la natura si tramuti da sé in arte.
L’intento di mostrare le bellezze nascoste della natura è alla base anche del tuo progetto “STARt. Look beyond”?
Certo, è stato proprio questo il primo progetto che ha ottenuto un’attenzione incredibile a livello internazionale, portandomi fino a Singapore, dove ha ricevuto un prestigiosissimo riconoscimento da parte della Nanyang Technological University con National Geographic. Ed è proprio questo progetto che nel titolo racchiude il manifesto alla base della mia attività fotografica: ‘look beyond’, ‘guarda oltre’, appunto.
Si tratta di una semplice astro-fotografia alla regione del Sagittario nella Via Lattea, dove si trova il cuore della nostra galassia, invertita nei suoi colori come a renderla simile ad un’opera d’arte moderna, per svelare la disarmante bellezza della natura che abbiamo quotidianamente davanti agli occhi ma che troppo spesso ci dimentichiamo di cogliere. Questa foto è all’insegna di un messaggio: non bisogna mai fermarsi davanti alle apparenze, ispirandoci alla scienza che ha ormai dimostrato la massiccia esistenza dell’inafferrabile materia oscura, nonostante quest’ultima continui ad eludere la nostra osservazione.
Spicca già tra le prime pagine del tuo ultimo progetto fotografico, “Resonance”, l’amore per la natura, amore evidenziato nello specifico dalla frase di Albert Einstein: ‘Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata’. Quindi ti chiedo cosa rappresenta la natura per te e cosa ti trasmette essere in contatto con essa.
Non c’è una singola volta in cui mi trovi ad osservare un determinato elemento naturale in cui non mi stupisca, grazie a qualche suo specifico aspetto, della magia che sembra di poter cogliere nel mondo che ci circonda. Si tratta quasi di uno stupore fanciullesco, che provo per ogni elemento, dalla vita in tutte le sue forme, alla geologia o all’astronomia. La passione per l’osservazione della volta celeste mi ha portato fin dall’adolescenza a trascorrere intere notti con telescopio, fotocamera e astroinseguitore per cercare di imprimere su pellicola (all’epoca l’apparecchiatura era ancora solo analogica) le meraviglie che non possiamo scorgere ad occhio nudo in un cielo notturno.
Forse è per questo mio approccio verso la natura che è stato inevitabile essere tanto attratto dall’apnea, una disciplina che permette di immergerti assaporando in un modo unico ogni sensazione che solo l’acqua può trasmettere, donando un senso di pace assoluto, accompagnato da un’indescrivibile percezione di uscire dal tempo.
In questi anni si è parlato tanto di resilienza, e volevo chiederti quanto la fotografia è stata motivo di resilienza nella tua vita e in tutti i suoi eventi.
Come dicevo, purtroppo in più occasioni della mia vita sono stato costretto a stravolgere tutti i miei progetti, cercando nuovi obiettivi e forme artistiche alle quali dedicarmi, perché nei momenti più difficili se ci chiudiamo in noi stessi rischiamo di affondare. Prefiggerci un traguardo, non lasciandoci sopraffare dagli eventi, diviene di fondamentale importanza. Quando sono stato costretto a letto prima in ospedale e poi a casa per giorni, settimane, mesi interminabili, senza forze e oppresso da un dolore fisico indicibile, la fotografia era diventata la mia “via di fuga”: un modo per concentrarmi su qualcosa di creativo e positivo. È proprio in quei momenti bui che è nata e si è sviluppata l’idea di Resonance: un progetto che potevo tentare di realizzare a casa, un piccolo passo per volta, quando riuscivo ad alzarmi dal letto per qualche minuto.
L’insegnamento di fondo che ho tratto tutte le volte che un ostacolo mi ha sbarrato la strada è questo: con ogni situazione drammatica la vita ci offre anche l’inattesa opportunità d’intraprendere un percorso alternativo, di vivere esperienze che probabilmente non avremmo mai intrapreso se non avessimo incontrato quella difficoltà. Non è affatto facile, ma credo sia fondamentale cercare di trovare il lato positivo anche nei momenti di maggior difficoltà.
Sempre sulla resilienza, qual è il messaggio che vorresti lasciare in particolare a tutti i giovani?
Chiaramente le difficoltà possono colpire con più veemenza i giovani, che se da una parte possono sentirsi meno strutturati e talvolta più fragili degli adulti, dall’altra hanno l’opportunità di attingere a una gran quantità di forze e vitalità. Consiglio loro di sfruttare questa energia per superare con ogni mezzo le difficoltà, concentrandosi sul traguardo che vogliono raggiungere. E quando un ostacolo si fa insormontabile, suggerisco di non aver paura di cambiare strada, perché la vita offre infiniti percorsi alternativi, che possono rivelarsi più entusiasmanti dei precedenti. L’importante è non fermarsi e andare in qualche modo oltre gli ostacoli che ci si stagliano dinanzi.
Sempre parlando di giovani e fotografia, quale rapporto secondo te hanno avuto i social ed internet in generale sulla fotografia e sul modo di fare fotografia?
Internet è sicuramente un mezzo di comunicazione globale e una fonte inesauribile di conoscenza, di confronto e di stimolo, qualcosa di incredibile e vantaggioso anche per la propria formazione professionale e non solo, ma se non sei mosso da una grande passione e dal giusto spirito critico, i social rischiano di rappresentare una perdita di tempo infruttuosa. Il mio consiglio, dettato anche dalla mia esperienza, è di invitare i giovani a sfruttare al massimo, con le dovute precauzioni, internet e le possibilità che esso ti apre ovunque, abbattendo, seppur solo virtualmente, i confini geografici. È proprio grazie ad internet, per esempio, che ho potuto pubblicare e rendere disponibili in tutto il mondo i libri dei miei progetti fotografici.
Hai idee per progetti fotografici futuri, magari un ‘Resonance 2.0’?
Sì, è ormai imminente l’allestimento di una mostra fotografica a Roma con una nuova serie proprio nell’ambito del progetto Resonance. I suoni rappresentati in immagine questa volta non provengono dal mondo naturale, ma da uno strumento musicale antichissimo, che permea città e spazi aperti di tutto il mondo: la campana. La serie si chiama “Roman bells”, e sarà esposta nei pressi del Titulus Equitii, di epoca romana, della Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti.