Da tempo la fotografia è così fortemente congiunta alla nostra identità culturale che la sua invenzione, segna un punto di cambiamento epocale nella storia dell’umanità, e azzardo, potrebbe superare anche noti eventi già conclamati, che tutti abbiamo letto sui libri di storia.
Autori di rilievo, ci spiegano come questa invenzione riassuma meglio di ogni altra cosa il percorso della cultura occidentale, poiché una parte sostanziale della nostra cultura e del nostro sapere si basa sulle fotografie. Sembra quello che nel mondo informatico si identifica come un “abbraccio mortale” – “deadlock”, un qualcosa da cui non possiamo separarci, e se improvvisamente dovessimo farne a meno, vivremmo una sorta di fallimento, come se perdessimo la memoria.
Da tutto ciò, sin dalla metà del ‘800, si inizia a prendere coscienza che forse la cosa migliore da fare è conservare in qualche modo una memoria storico-fotografica del patrimonio e degli eventi, che un’improvvisa catastrofe potrebbe toglierci per sempre.
Occorre poi attendere i primi anni ’90 affinché un programma pilota per la digitalizzazione venne progettato negli USA dalla Library of Congress. Anni in cui il World Wide Web, non si era ancora affermato capillarmente, pertanto i materiali digitalizzati erano salvati su supporto ottico.
Iniziano così a prendere forma gli ARCHIVI FOTOGRAFICI DOCUMENTARI DIGITALI. Sono trascorsi quasi 30 anni ed oggi, grazie ad essi si possono compiere studi, ricerche e confronti; grazie ad essi si può ripercorrere il nostro vissuto, rimanendo comodamente seduti a casa.
In un momento in cui tutti, volontariamente o involontariamente stiamo scrivendo pagine storia, vedere sul nostro computer immagini fotografiche relative alla più grande pandemia della storia, la prima impressionata su carta sensibile, ci rende più umani e forse meno soli.
// Articolo di Diego Pizi